Venerdì 24 e sabato 25 Novembre abbiamo partecipato al consueto appuntamento annuale con il Summit di Architecta, società italiana di architettura dell’informazione.
Due giorni di formazione, scambio, incontri e suggestioni per capire lo stato dell’arte e le prospettive delle tematiche che ruotano intorno all’architettura dell’informazione e all’experience design.
Nel venerdì dedicato alla formazione ho seguito il workshop di Chiara Peretti e Serena Ballabio sulla service bluprint e quello di Luca Rosati sulla sua versione del Delphi Card Sorting. Quest’ultimo in particolare mi ha lasciato molti spunti di riflessione. La proposta di Luca di condurre il card sorting a coppie è molto interessante perché permette da un lato di accelerare i tempi, dall’altro di favorire la tecnica del Think Aloud poiché, essendo i partecipanti in 2, tendono naturalmente a confrontarsi a voce alta. Da quello che abbiamo potuto sperimentare, nelle poche ore di workshop, la sfida sta nel condurre il test in maniera tale da non solleticare troppo l’istinto di alcuni utenti a mettere in discussione l’architettura, più per manifestare la proprie capacità, piuttosto che perché ce ne sia un reale bisogno.
Mi rimane solo un dubbio sulla parte di convergenza. Il card sorting dovrebbe procedere per affinamenti successivi ma se, come è accaduto a noi, si procede per rivoluzioni successive come si fa a raggiungere l’obiettivo di una architettura finale e condivisa? Luca ci fa notare come più che il risultato, sia importante tracciare i momenti di discussione e dibattito, tenere conto dei temi che creano maggiori conflitti. Questo è sicuramente interessante ma vorrei approfittare del momento per portare i partecipanti ad una decisione comune. Questo è un tema che proveremo sicuramente ad approfondire nelle prossime sperimentazioni sull’Architettura dell’Informazione.
Nella giornata di sabato si è tenuta invece la conferenza che quest’anno aveva come tema l’Architettura delle conversazioni. Siamo nell’era della Voice User Interface che sta progressivamente sostituendo il touch e delineando una probabile nuova rivoluzione digitale. Ne possiamo cogliere i segnali ovunque attorno a noi. Provate a guardare in giro mentre camminate per strada, vedrete persone che mandano e sentono messaggi vocali, o pensate alle cose che sempre di più chiedete quotidianamente a Siri, Alexa, Assistente Google... L’argomento era quindi di per sé molto intrigante e il board ha saputo chiamare a parlarne un insieme di protagonisti portatori di esperienze e punti di vista oltremodo interessanti di cui riporto di seguito alcuni esempi.
Ha aperto la giornata di conferenza James Giangola, Conversation Design & Voice Direction di Google, che ci ha parlato del principio di cooperazione, teorizzato nel 1975 da Paul Grice. Questo principio ci aiuta ad interpretare il significato contestuale di una frase e le sue implicazioni, ci permette di dedurre informazioni non dette esplicitamente. Ci permette di capire che se qualcuno al telefono ci chiede “Sei seduto?” è perché probabilmente ci sta per dire qualcosa di importante. Oggi però ci troviamo sempre più spesso a “conversare" con assistenti vocali che non hanno questa capacità innata, il compito dei progettisti diventa quindi quello di rendere questi dialoghi naturali, chiari, leggeri come una conversazione, evitando ripetizioni o comandi che suonerebbero strani e noiosi.
Come ha spiegato bene, infatti, Yvonne Bindi, Designer del linguaggio e architetto dell’informazione, il nostro orecchio è allenato a millenni di evoluzione del linguaggio, e qualsiasi tipo di ripetizione, di errore grammaticale o di sintassi, viene istantaneamente percepito come fastidioso. Per questo dobbiamo, come professionisti, lavorare sul linguaggio, trattarlo come un atto di design in cui le parole diventano interfacce, punto di contatto tra le persone e quello che vogliono ottenere. Il linguaggio, se progettato bene, sa cosa dire, a chi dirlo, quando dirlo e in che ordine e in questo senso diventa un vero è proprio superpotere che ci permette di ottenere quello che vogliamo.
Con David Peter Simon, etnografo, questo superpotere si proietta in un futuro in cui guideremo, anzi, ci lasceremo guidare, da macchine driverless che avranno sensori continuamente in ascolto di tutto ciò che diciamo all’interno dell’abitacolo. Queste auto sono organismi informativi che operano in una infosfera dove potenzialmente tutto è interconnesso. L’auto deve essere sempre in ascolto per questioni di sicurezza ma questo pone questioni etiche il cui dibattito è solo all’inizio.
Queste visioni del futuro sembrano oggi così lontane, ma potrebbero essere solo dietro l’angolo. All’inizio di quest’anno eravamo allo WIAD a Verona, si parlava di chatbot come se fossero il futuro di tutte le interazioni digitali. L'altro giorno a Bologna sembravano passati anni luce e gli interventi di chi ne parlava sono sembrati un po’ polverosi, non per colpa loro, ma per la velocità con cui il progresso in questo campo macina novità.
Ci riporta con i piedi per terra, ai giorni nostri e nelle nostre aziende, Alberta Soranzo, End-to-End Service Design Director, che sottolinea come le parole che usiamo siano l’espressione di ciò che pensiamo e contribuiscono a formare le relazioni fra noi e chi ci circonda. Quando entriamo in un’azienda, in una organizzazione adottiamo il suo linguaggio senza riflettere su quanto questo sia concorde con i valori che vogliamo proporre. Parliamo quindi di risorse, di performance quando dovremmo parlare di competenze, impegno e contributo e coltivare il talento di chi in azienda, attraverso la conversazione, funge da “__connettore carismatico__” tra le varie persone dell’azienda.
Nel finale si è tornato a volare alto in un intervento di Andrea Resmini, Professore, autore e architetto dell’informazione, in cui tra suggestioni filosofiche e riferimenti alla teoria della mente ci fa notare come il linguaggio abbia permesso di fare balzi nell’evoluzione umana che erano impensabili fino a quando gli umani hanno comunicato tra loro in modo non verbale.
Quel che è certo è che le conversazioni del Summit sono l’occasione di alzare la testa dal monitor, sbirciare il futuro e guardare al presente attraverso chiavi di lettura diverse e in alcuni casi sorprendenti. Ecco perché sono convinta che chiunque faccia il nostro lavoro non dovrebbe perdersi il Summit annuale di Architecta! Il Prossimo appuntamento è a Genova 2018! Segnate in agenda!